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Digitalizzare la gestione delle supply chain

Nell’ultimo anno e mezzo è notevolmente cresciuta la sensibilità delle aziende verso le tematiche di business continuity. Una riflessione indotta dalle conseguenze della pandemia che vede oggi sempre più organizzazioni gestire, misurare e rendicontare le performance delle supply chain con un approccio globale e coordinato. In questi processi ha assunto un ruolo centrale la tecnologia, particolarmente utilizzata per le attività di mappatura dei fornitori. Tuttavia, come riporta il Supply Chain Resilience Report 2021 redatto dal Business Continuity Institute, solo un’azienda su sei effettua una vera e propria due diligence dei fornitori, e ancora più raramente di quelli dal secondo livello in poi. 

Secondo il Report, il 40,5% delle aziende utilizza la tecnologia per mappare le supply chain, una quota quasi raddoppiata rispetto al 2019 (22,6%). Per oltre la metà di queste imprese è stato proprio il Covid la spinta per investire in tal senso. D’altra parte, l’area della business continuity è stata una delle più impattate dall’emergenza pandemica: un’azienda su tre ha riscontrato nel 2020 più di venti problematiche correlate ai fornitori, mentre nel 2019 erano state solo il 4,8% del totale. Le maggiori vulnerabilità sono rappresentate dai fornitori dal secondo livello in giù, coinvolti nel 40% delle casistiche. La maturità digitale si è rivelata decisiva: le aziende altamente digitalizzate hanno intrapreso un numero significativamente maggiore di azioni per mitigare le interruzioni della catena di fornitura rispetto a quelle meno digitalizzate, e con risultati migliori. La sensibilità dei top management nel frattempo è cresciuta: oltre tre quarti delle aziende oggi controlla che i propri fornitori abbiano un sistema di business continuity, e le due diligence stanno oltrepassando il paradigma delle check box per farsi più approfondite – sebbene non siano ancora frequenti quanto dovrebbero, come riportato prima. 

Questi cambiamenti nella gestione delle catene di fornitura sono frutto di un processo di ristrutturazione che ha come obiettivo finale il garantirne allo stesso tempo efficienza e resilienza. Dai primi mesi del 2021, e in particolar modo man mano che le campagne vaccinali dei paesi avanzati raggiungono la soglia dell’immunità di gregge, si è registrata una decisa ripresa degli scambi internazionali. 

Il ritorno alla normalità incontra però alcuni ostacoli. L’offerta stenta a tenere il passo con l’incremento della domanda, soprattutto nei settori dei beni di consumo, delle materia prime e della tecnologia. Euler Hermes ha stimato che il livello di pent-up demand solo in Italia corrisponde a circa l’1,5% del PIL. I paesi del sud-est asiatico, usciti primi dall’emergenza pandemica, hanno infatti approfittato del vantaggio temporale per incrementare le proprie scorte, strategia che sta mettendo in difficoltà le aziende dei paesi occidentali che necessitano di determinate forniture per far tornare l‘attività a pieno regime. 

Un’altra problematica è relativa all’aumento dei costi di trasporto, certificato da più parti. A titolo di esempio, lo SCFIS (Shanghai Shipping Exchange) ha registrato tra il 2020 e il 2021 un incremento dei costi dei vettori nelle rotte Shanghai – Europa e Shanghai – costa ovest degli Stati Uniti intorno al 25%. Molte aziende stanno cercando di trovare nuovi fornitori a livello nazionale e/o di avvicinare la produzione. La tendenza al reshoring, cioè al riportare la produzione su territorio nazionale, risulta molto diffusa in USA, Francia, Germania e Regno Unito, paesi in cui nell’ultimo anno e mezzo è stata la scelta rispettivamente del 46%, 35%, 33% e 32% delle imprese secondo un’indagine di Euler Hermes. D’altra parte, la pandemia ha accelerato una tendenza già in atto che vedeva il modello della globalizzazione fortemente in crisi per motivazioni – tra le altre- legate alla sua sostenibilità. 

Nel frattempo, considerando il panorama in evoluzione causato dalla pandemia, è importante ricordare che altri rischi continuano a minacciare la continuità aziendale (ad esempio disastri naturali e non e rischi tecnologici). Sfruttando il momento attuale di aumentata attenzione verso queste tematiche, le aziende dovrebbero dunque lavorare su più fronti, sviluppando o rivedendo i propri piani di business continuity e individuando sul mercato le coperture assicurative più idonee.